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La scoperta del settore culturale come un potenziale settore trainante dello svilupo economico locale può essere attribuita al Greater London Council che, negli anni settanta elaborò la prima vera e propria strategia per lo sviluppo di questo settore realizzando, a partire da questa, un insieme di interventi infrastrutturali che, dalla realizzazione del South Bank Centre alla nuova sede della Tate Gallery, si sono sviluppati durante tutti questi decenni.
Il settore culturale era inteso in una accezione ampia, che comprendeva: i beni culturali; lo spettacolo dal vivo; la produzione d’arte contemporanea; la fotografia; il cinema; l’industria multimediale; la moda, il design, gli spazi pubblici urbani (parchi, piazze, eccetera) e, in alcuni casi lo sport.
Una forte integrazione tra le attività del settore culturale e quelle dei settori connessi (turismo, in primo luogo, ma non solo) costituisce il cardine della strategia. Una sua specificità, che caratterizzareà poi tutte le sue concrete applicazioni, risiede nel fatto che l’integrazione viene perseguita attraverso una “specializzazione territoriale”: ovvero, parti della città diventano luogo privilegiato per l’insediamento di musei, di spazi espositivi, di teatri, di studi dui artisti di gallerie d’arte, di sale di concerto eccetera.
La specializzazione territoriale è ritenuta necessaria per due ragioni. Da un lato avrebbe facilitato i processi di integrazione intersettoriale in quanto, per effetto della realizzazione di una “massa critica” nell’offerta dei servizi, si sarebbero create economie esterne che avrebbero potuto favorire l’insediamento delle attività sussidiarie e di nuove attività culturali e potenziato nello stesso tempo, gli impatti economici del processo di valorizzazione. Dall’altro, avrebbe favorito il perseguimento di un ulteriore obiettivo: la rifunzionalizzazione di aree urbane degradate e in crisi. le aree urbane, che si specializzano in quanto contengono la più alta concentrazione di attività e luoghi per l’arte e lo spettacolo, sono note nella letteratura come cultural district. Il distretto culturale è, quindi, una zona della città che diviene luogo privilegiato di insediamento di attività della filiera produttiva culturale intesa in senso ampio. L’idea della specializzazione territoriale, o del distretto culturale, è stata in realtà mutuata da alcune concrete esperienze: le rive gauche o l’area di Montmartre a Parigi; Soho e ilWest End a Londra; Grenwich Village e Soho a New York.
La specializzazione territoriale è stata però in questi casi il risultato di un processo sombiotico che siè realizzato nel tempo e che ha dato la possibilità a queste aree di elaborare una loro propria storia in termini sia spaziali che socioeconomici e politici. La teoria del distretto culturale ritiene che queste situazioni, date alcune condizioni, siano riproducibili. La strategia del Greater London Council ha fatto scuola. Sia in Gran Bretagna sia in altre città dell’Europa e del Nord America sono state elaborate e sperimentate specifiche strategie per la nascita di distretti culturali ai fini di sviluppo, ma sopratutto, con lo scopo di rivitalizzare le aree urbane in crisi o con un patrimonio edilizio sottoutilizzato.
Alcuni esempi possono chiarire il contenuto e la portata di questa strategia. Un’esemplare strategia di intervento nella direzione di una forte integrazione tra industria culturale ed industria turistica fu elaborata a Glasgow al principio degli anni Ottanta. Nel 1987, con il contributo finanziario sia del settore pubblico che di quello privato, ebbero inizio le prime realizzazioni. Su iniziativa del Glasgow District Council fu creata una società mista, La Glasgow Action, per dare attuazione a una strategia che prevedeva una crescita dell’imagine della città e della sua industria turistica fondata su: a)il miglioramento ambientale del centro urbano; b9 l’incremento dell’offerta culturale.
Glasgow Action inizò la sua attività creando un distretto culturale attraverso la rivitalizzazione di un’area centrale: la Merchan City. Altri interventi furono realizzati in altre parti della città storica in collaborazione con le istituzioni locali: in prima fila sempre il Glasgow District Council e il Greater Glasgow Tourist Board. Le istituzioni culturali di maggiore prestigio già operanti nella città (la Scotish Opera, Ballet and Orchestra, e il Citizens Theatre) furono individuate come le risorse, gli asset patrimoniali, su cui basare questo diverso modello di sviluppo. Queste risorse furono incrementate negli anni successivi con l’apertura di nuove gallerie (la Burrel Collection) e con la creazione di un festival annuale (il Mayfest).
Fu dato inizio a una vigorosa campagna di marketing urbano basata sulla promozione del patrimonio e delle attività culturali della città. Contemporaneamente fu realizzato un centro espositivo e per congressi di rilevanza nazionale e fu creata una fitta rete di rapporti con le “associazioni di artisti” per animare culturalmente, specialmente nei mesi estivi, la città. Insieme a queste associazioni furono realizzati festival internazionali di musica (dal jazz al folk), danza e teatro di strada. Tutte queste iniziative vennero realizzate sulla base di un programma triennale. Una società no profit creata negli anni Settanta, la Workshop and Artist Studio Provision Scotland Ltd., ha contributo allo sviluppo di questa centralità urbana offrendo agli artisti (pittori, scultori, designer) e agli artigiani specializzati (oreficeria artistica, lavori su vetro eccetera) sia accomodation (studi e abitazioni a prezzi contenuti e con contratti temporanei) che servizi di supporto (marketing, commercializzazione, servizi ewspositivi eccetera). Questa società è attualmente titolare di circa 500 gallerie sparse in tutta la Scozia comprese le zone rurali e il supporto è fondamentale per l’affermarsi di ghiovani artisti.
Sulla base di questo insieme coordinato di attività fu possibile rivitalizzarew un’area urbana in dclino e sviluippare un’industria turistica in grado di accrescere in modo significativo il reddito e l’occupazione della città. La strategia di intervento, elaborata per Glasgow, costituisce, con le opportune modificazioni, il “modello” di riferimento che verrà attivato in molte altre città, anche fuori dei confini del Regno Unito. Il “modello Glasgow” è stato successivamente applicato ad altre grandi città in crisi come Liverpool, Sheffield o Manchester. La strategia elaborata e attuata a Manchester merita una breve illustrazione perchè presenta alcune significative specificità. In primo luogo, attraverso la nascita di un’industria culturale si voleva compensare il declino dell’industria tessile locale che, alla fine degli anni Ottanta, dava ancora occupazione a circa 24mila addetti. In secondo luogo, nella riconversione produtiva si attribuivagrande peso all’industria televisiva.
Anche in questa città si è operato attraverso un mix di strumenti: attrezzatura, facilities per gli artisti, sostegno ai produttori e creazione di un’agenzia (Arts About Manchester) per la promozione delle attività culturali. Complessivamente, attraverso l’integrazione tral’industria culturale e l’industria turistica, all’inizio degli anni Novanta, sono stati creati circa 22mila posti di lavoro: 10mila nel settore culturale e 12mila in quello turistico. Il modello dello sviluppo di un’industria culturale, spazialmente concentrata nella forma del distretto culturale, è stato perseguito anche in molte città del Nord America come Toronto, Boston o Baltimora. La creazione di un distretto culturale nella downtown di Boston presenta un’ulteriore specificità. In questa città, per sostenere la creazione di un distretto culturale, si è fatto ricorso ad uno strumento di tipo urbanistico assimilabile al nostro piano di recupero. Nelle norme tecniche del piano si prevedeva, infatti, un “bonus” – in termini di indici di densità insediativa, di modificazioni di destinazioni d’uso eccetera – che era direttamente proporzionale alla quota di spazio che il privato destinava a “servizi collettivi” di natura culturale: spazi espositivi, botteghe per artisti e artigiani eccetera. Il piano fu preceduto da un’analisi di impatto economico, nella cui redazione fu coinvolta la comunità locale, e da un piano di sviluppo culturale. Per la redazione di quest’ultimo piaano fu creato un ufficio ad hoc: l’Offcie of the Arts and Humanities. La realizzazione del piano di recupero fu certamente favorita dal fatto che la gran parte delle proprietà dell’area faceva capo a poche società immobiliari, ma la creazione di un distretto culturale ha provocato nel tempo significativi benefici economici per i privati poichè, attraverso la crescita della domanda soprattutto di residenti, sono aumentati in modo consistente i valori immobiliari dell’area